I Corinzi 11, 17-26
Care Sorelle e cari Fratelli,
la società è divisa. Così si dice. In molti ambiti, ciò è visibile, dove corrono linee diverse. Non solo tra ricchi e poveri, istruiti e meno istruiti, vaccinati e non vaccinati, sinistra e destra, vecchi e giovani, forniture di armi sì o no e, naturalmente, in moltissimi altri ambiti. Magari è sempre stato così, ma in tempi di camere dell’eco e di social media non è facile trovare unità.
Lo sguardo alla serata di oggi si orienta, insieme con Paolo, a Corinto. Negi anni ’50, scrive una lettera alla comunità locale. In essa, critica proprio ciò che noi, talvolta, sperimentiamo pure nella Chiesa e anche nelle comunità: divisioni. Ma non solo divisioni riguardo opinioni politiche o atteggiamenti religiosi, su come debba apparire il profilo diaconale o la musica sacra della comunità;
no, egli vede divisioni su un punto centrale. Ascoltiamo cosa scrive nella sua lettera, al capitolo 11:
17 Nel darvi queste istruzioni non vi lodo, perché vi radunate non per il meglio, ma per il peggio. 18 Poiché, prima di tutto, sento che quando vi riunite in assemblea ci sono divisioni tra voi, e in parte lo credo; 19 infatti è necessario che ci siano tra voi anche delle divisioni, perché quelli che sono approvati siano riconosciuti tali in mezzo a voi. 20 Quando poi vi riunite insieme, quello che fate non è mangiare la cena del Signore; 21 poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22 Non avete forse delle case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e fate vergognare quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Devo lodarvi? In questo non vi lodo.
23 Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 25 Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. 26 Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» .
Paolo vede divisioni in un punto centrale, se non quello più centrale: sulla Santa Cena. La comunità si riunisce senza essere davvero comunione. Ci sono coloro che s’incontrano già prima per mangiare e bere copiosamente e poi compaiono ubriachi. E ci sono coloro che siedono insieme sempre allo stesso tavolo, sempre con la stessa gente del medesimo ambiente sociale.
In effetti, era pensata proprio così: ci si incontra una o più volte a settimana; ognuno porta qualcosa da mangiare e c’è un pasto comune. Porta e condividi a Corinto, per così dire. Ma, con rincrescimento di Paolo, alcuni primi compaiono già sazi e altri portano del loro superfluo, umiliando coloro che non possono permettersi cibi ricchi e doni con cui ostentare la propria superiorità. Questo non è bene, ma non è il vero problema: per Paolo, qui si è perduto il nucleo.
Non si tratta solamente di un’agape lieta, di un pasto che fonda la comunione, come possiamo sperimentarla nella colazione della mattina di Pasqua o durante le serate in giardino, in estate. Qui si tratta delle cose essenziali: io do agli altri quel che ho ricevuto dal Signore, scrive. E poi cita quelle parole che ascolteremo tra poco nell’istituzione della Santa Cena:
il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 25 Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me».
È di questo che si tratta: di attuare ciò che Gesù, una volta, ha fondato con i suoi amici.
Se noi, oggi, Giovedì Santo, ci riuniamo, lo facciamo perché celebriamo questo: che Gesù ha donato se stesso. E ogni volta che celebriamo la Santa Cena, abbiamo parte a lui. A lui stesso. Egli dona se stesso nel pane e vino.
Questo legame con lui, che è fondato nel battesimo, diventa concreto. Si sente rafforzare. Questo è centrale per la nostra fede; questo è fuori discussione, già per Paolo. Lo facciamo in memoria di Gesù perché egli stesso ci ha dato quest’incarico. Condividendo il pane e vino, l’unico pane e l’unico calice, egli fonda e sigilla la sua comunione con noi. Si lega a noi in modo nuovo. Ci fortifica in vita e morte. Questo è centrale. È di questa celebrazione che vivono l Chiesa e la nostra fede. Questo dev’essere il punto centrale. Con tutte le differenze che ognuno vivne nella propria fede e facendo il proprio cammino con Dio. Con tutta la molteplicità di come ci si possa sentire o no vicini a Dio. Di come viviamo la nostra vita e guardiamo al mondo.
Come cristiani, abbiamo Gesù al centro. Così di molti chicchi si fa un solo pane e di molti grappoli d’uva si fa un solo vino, cui ci è dato di aver parte. E se noi, oggi, celebriamo l’istituzione di questo santo segno, di questo sacramento, allora questo ci unisce con ciò che abbiamo ascoltato nelle letture. Ci unisce ai nostri fratelli e sorelle ebrei, che pure, con tutte le differenze, celebrano la loro Pesach. Sulla soglia. Con la cintura allacciata. La Pesach del Signore. Che infonderà in loro forza per avviarsi verso il nuovo. Verso la Terra Promessa.
La Santa Cena che celebriamo noi ci fa pure avviare. L’avvio è sempre avvio per andare dal nostro prossimo. Da chi vive e crede insieme con me. Nel Vangelo, abbiamo sentito parlare di questo servizio insuperabile al prossimo: Gesù si alza dalla tavola della Cena e lava i piedi ai suoi amici. Si fa piccolo per fare grande il suo prossimo. Questa celebrazione fa alzare in piedi anche noi. Ci libera dalla ristrettezza di vedute; ci conduce fuori dai giri che facciamo intorno a noi stessi; ci porta verso il nostro prossimo con le sue difficoltà. Celebrare la Santa Cena ha conseguenze per la nostra vita. Chi prosegue, provenendo dalla tavola del Signore, dà agli altri l’amore che ha ricevuto.
Cara Comunità, in questa celebrazione è contenuto il mistero di questi giorni di festa. Morte e vita. Congedo e avvio. Conferma e rafforzamento. Viatico per il cammino della vita verso Dio. Troppo denso? Troppo? Ora, non si può semplificare perché Dio stesso non lo fa. E noi ci riuniamo in semicerchio, che è aperto a lui. È lui a chiudere il cerchio.
Spezziamo il pane e lo riceviamo. Prendiamo il calice e lo riceviamo. Nessuno dà a se stesso. Noi tutti siamo dei ricevitori. Noi tutti riceviamo il messaggio: “il corpo di Cristo, dato per te. Il sangue di Cristo, versato per te”. Forse, questo è un momento in cui tutte le divisioni sono superate. Almeno per il momento. Almeno in questo luogo.
Amen.