Matteo 25,1-13

Gesù dice:

1 «Allora il regno dei cieli sarà paragonato a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. 2 Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; 3 le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell’olio, 4 mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell’olio nei vasi. 5 Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. 6 Verso mezzanotte si levò un grido: “Ecco lo sposo, uscitegli incontro!” 7 Allora tutte quelle vergini si svegliarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle avvedute: “Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. 9 Ma le avvedute risposero: “No, perché non basterebbe per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene!” 10 Ma, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi vennero anche le altre vergini, dicendo: “Signore, Signore, aprici!” 12 Ma egli rispose: “Io vi dico in verità: Non vi conosco”.

13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

 

Cara Comunità!

Mia madre tiene, sulla sua scrivania, una cartella nera contenente diversi biglietti d’auguri.

Una bella provvista, suddivisa per occasioni: compleanni, nozze, confermazione, condoglianze. Da ragazzino mi piaceva giocare con questi biglietti dai bei colori, avvolti nel cellophan. Più in là, ne usai perfino alcuni, scrivendo in nome della famiglia. Ricordo che mia madre prestava grande attenzione affinché scegliessi l’illustrazione che si addiceva al caso specifico.

Un biglietto colorato, allegro, riportante una frase lieta sarebbe stato un passo falso assoluto, se fosse stato inviato per fare le condoglianze. Un biglietto in bianco e nero, con un’illustrazione malinconica e una copertina incorniciata di nero non sarebbe stato solo uno scherzo macabro, ma un errore grave, in caso di nozze o di compleanno.

Sono solo immagini e decorazioni ma, in determinate situazioni della vita, siamo molto sensibili. Ciò vale, in specie, per il congedo da una persona cara.

Dipende dall’occasione, quali cartoline, parole, musica scegliere.

Pertanto, oggi possiamo domandarci se la parabola di Gesù si adatti al Vangelo che abbiamo appena ascoltato in questa Domenica dell’Eternità.

È una storia di nozze. È adeguata alla transitorietà umana, che oggi abbiamo davanti agli occhi?

È una storia di nozze in cui accade un pasticcio. È adeguata alla dignità della giornata?

È una storia che contiene alcuni messaggi duri. È adeguata all’obiettivo pastorale di assistere coloro che, tra noi, sono in lutto?

 

Vi ricordate che ci sono dieci damigelle della sposa. Nell’Israele di quel tempo, avevano il compito di andare incontro allo sposo, quando sarebbe venuto a prendere la sposa nella casa dei genitori.

Il problema non è che di sera si fa scuro. Le lampade ad olio sono di uso normale. Ma è il fatto che lo sposo giunga davvero tanto tardi, al punto che le lampade si spengano e le damigelle si addormentino a costituire un’emergenza.

 

Adesso, le cose si fanno serie. Solo cinque delle dieci giovani hanno riserve di olio e possono far splendere le loro lampade. Le altre cinque non hanno più olio per fare gli onori allo sposo.

Una situazione terribilmente penosa! Chi vorrebbe mai rovinare le nozze di un’amica?

E, naturalmente, non solo queste cinque damigelle, ma anche noi, poniamo subito questa domanda: perché le altre cinque non condividono il loro olio?

Condividere non è forse una proprietà dei cristiani, da sempre? Non abbiamo appena meditato su S. Martino, che condivise il suo mantello? Non hanno capito questo perfino quelli che ne sanno pochissimo del cristianesimo?

Perché queste cinque giovani non condividono il loro olio?

Questo è il primo messaggio duro della parabola.

Il secondo arriva alla fine. Le damigelle della sposa, restate senza olio, non solo hanno fallito penosamente, ma vengono anche escluse dai festeggiamenti. Quando, dopo il corteo nuziale, arrivano nella sala della festa, il portone è chiuso. Bussano, chiedendo di entrare; a quel punto, lo sposo dice: “non vi conosco” e il portone resta chiuso.

 

Nessuna condivisione, nessun ingresso nel regno di Dio. Questi sono messaggi che ci urtano. Questi sono messaggi che non collimano con l’immagine di Gesù che ci siamo fatti.

È una parabola dura, quella che la Chiesa dà da commentare nella domenica odierna. Come ci rapportiamo a tale durezza?

Non vogliamo, anche di fronte alla morte, reprimerla, ma vogliamo capirla. Proviamoci.

 

I

Perché queste cinque giovani savie non condividono? Sono fredde e calcolatrici, concentrate solo sul loro benessere? Godono, come perfino molti contemporanei, nel vedere che altri sono nei guai e che questo fa risultare loro perfino più grandi?

Perché non condividono? Risposta:

quest’olio, cara Comunità, non può essere condiviso.

È la fede personale. L’olio che fa ardere le nostre lampade davanti a Dio è la fede personale, è il proprio amore e non è qualcosa che possiamo condividere o cedere.

Non posso dire: “Credo anche per te”. Non si può credere per altri. Si può credere, così come si può amare, solo di persona; non si possono delegare altri. Non posso dire: io non amo, ma un’altra persona ti ama per me.

Fede e amore non possono essere condivisi o ceduti o delegati.

Qui, ognuno è solo davanti a Dio. E anche questa è un’informazione importante per il momento in cui compariremo davanti al nostro Giudice eterno.

Qui, io non posso dire: “mia madre ha creduto in te” oppure: “i miei figli ti accendono sempre una candela per me” e nemmeno: “il mio pastore ha creduto così e così”.

No: qui, sei solo. E qui tutto dipende da te e dalla tua fede.

Stai davanti a Gesù con un lume che arde? Oppure la luce della tua fede si è spenta da tempo?

 

II

Il secondo messaggio duro è il portone chiuso.

Che ci sia un “troppo tardi” bisogna che io lo accetti. “Chi giunge troppo tardi viene punito dalla vita”: alcuni di noi ricorderanno quando Mikhail Gorbachev rivolse queste parole a Erich Honecker, nel 1989. Anche chi viene in contatto con la morte avverte che il tempo va via e c’è un troppo tardi.

Ciò che non è stato detto oggi, domani può essere impossibile dirlo. Ciò che non è stato chiarito oggi, dopo la morte non può più essere discusso.

Esiste un “troppo tardi”. Le opportunità sfumano e le porte si chiudono. Esiste un “troppo tardi”. Anche oltre la fede e la religione.

Ma la Bibbia, da ogni parte, ci insegna anche che dobbiamo costruire la nostra casa e che siamo saggi se non mettiamo in disparte la realtà della morte, ma impariamo di dover morire.

“Signore, insegnaci a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio“ (Sl 90, 12).

 

Ma qui, nella parabola di Gesù, il punto decisivo non è il “troppo tardi!”. Il punto decisivo è “Vegliate!”. E vegliare significa credere e amare.

Può essere che Dio chiuda il portone? Il Dio, benevolo, misericordioso, che prova e conosce i cuori, il nostro Dio, il Padre di Gesù può essere che chiuda il portone e che lasci fuori, sotto la pioggia, gli stolti e gli idioti, i pigri e gli sventati? Fuori, dove c’è stridore di denti perché fa freddo ed è buio?

Adesso, stanno davanti alla porta e gridano: “Signore, Signore, aprici!”

“Troppo tardi”, dice lo sposo, “voi senza olio, senza torce, senza lumi: io non vi conosco.” E la porta resta chiusa.

Sperimentano il respingimento più gelido.

Quale è stato il loro errore?

Non può essere l’essersi addormentate. L’attesa è ardua per tutti. Tutte si sono addormentate. Ci addormentiamo anche noi, non solo ogni sera, ma anche, pensando alle nostre forze e impegno, riguardo ai formidabili problemi di questo mondo. Capitoliamo, più o meno ogni giorno, riguardo a ciò che davvero dovrebbe venir fatto!

Tutti si sono addormentati, anche i nostri defunti. Non è l’addormentarsi, il problema.

Il problema delle cinque vergini stolte fu l’avere troppo poco olio.

Non presero dell’olio di riserva, perché credevano si sapere con esattezza quando sarebbe giunto lo sposo. La loro attesa è calcolata con precisione: verrà nel tale momento. E questo comportamento è irresponsabile.

Chi attende Dio così, come se tenesse in pugno il suo arrivo, ha una devozione calcolatrice.

Chi attende Dio così, fa di se stesso il Signore del procedimento. Con tutta la sua devozione, è un egoista calcolatore.

Ma dove deve occuparsi in tutto e per tutto di cose terrene, dove davvero deve fare calcoli, lì fallisce miseramente.

E proprio per questo fallisce anche davanti a Dio. Perché chi non è all’altezza dei suoi compiti terreni; chi non è fedele, col massimo zelo, ai propri compiti terreni, manca anche il regno dei cieli.

E per converso: chi accetta la sovranità di Dio; chi lascia a lui il programma della propria vita e morte, resta fedele alla terra in modo del tutto spontaneo.

Saggi, secondo la Bibbia, sono gli esseri umani che aprono gli occhi e guardano bene. Chi resta fedele alla terra, apre gli occhi nel nostro mondo e lo guarda bene.

Gli stolti fanno il contrario. Non si fanno impressionare né dalle necessità del mondo né dalle possibilità di Dio. Lo stolto fa affidamento su se stesso. E proprio per questo fallisce.

È colpevole della propria solitudine.

Le cinque vergini stolte si erano ostacolate da sole; forse, questo era stato l’ostacolo peggiore. Con indicibile stoltezza, si erano escluse da sole. Da sole.

 

Ma questa fine, cara Comunità, ci viene raccontata da Gesù solo affinché, fin dall’inizio, ci comportiamo diversamente: cioè così da non mettere nulla di traverso, nemmeno noi stessi, alla partecipazione alla festa di Dio!

E così, alla fine, la parabola guida il nostro sguardo di nuovo all’inizio, cioè all’invito ad accompagnare svegli Gesù che arriva alla festa che ha preparato per noi.

Accettiamo o no l’invito, omnicomprensivo, di vita da parte di Gesù?

Passiamo oltre o lo prendiamo sul serio?

 

Siamo riuniti nella Domenica dei Defunti e abbiamo parlato molto di nozze. Mia madre, a proposito dei suoi biglietti, direbbe che io ne abbia scelta uno sbagliato.

Un biglietto di nozze per la morte?

E se invece fosse questo il caso?

La morte come sposalizio?

Sì: vi viene riunito ciò che prima non era insieme.

Ci si trasferisce in una nuova dimora comune.

Può esserci una prospettiva migliore, nelle questioni riguardanti il nostro futuro, i nostri dubbi e il destino dei nostri defunti, di quella di uno sposalizio, cui siamo invitati?

Ma se così è, allora per i nostri defunti e per noi stessi vale questo:

dobbiamo andargli incontro!

Amen.

Domenica dell’Eternità – Pastore Dr. Jonas