Giacomo 2, 14-26

 

14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi, uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
20 Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. 24 Voi vedete dunque che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

 

 

Cara Comunità!

“La cosa importante è avere una fede.”

Così si sente spesso dire, in quest’epoca piuttosto laica.

“La cosa importante è avere una fede.” E noi gente di chiesa sia contenti già se qualcuno dichiara di essere religioso.

“La cosa importante è avere una fede.”

Ma è davvero così facile?

Davvero basta avere una fede qualsiasi in qualcosa?

Non possiamo mettere l’assicella così in basso.

Né la metteremo così in basso nemmeno nella nostra chiesa.

Domenica dopo domenica, ci sforziamo di delineare il profilo di questa fede.

Come Chiesa pia, siamo abituati a dichiarare con la massima chiarezza in chi crediamo. Questa è una cosa che mi sta molto a cuore, personalmente. Lo sapete.

Ma non è solo questo che va messo a fuoco. Qui, a sorprendermi è il monito senza compromessi di Giacomo-

Non si tratta solo del contenuto della fede: si tratta anche della sua parte visibile.

Non si tratta solo della presenza e della forza della nostra fede personale, ma anche dei suoi effetti.

La fede senza opere non è fede!

Giacomo ce lo sbatte con durezza e chiarezza contro le nostre orecchie plasmate dalla Riforma.

Siamo abituati a sottolineare l’effetto salvifico della fede. Ripetiamo le formule “per sola fede”, “solo Cristo”, “per sola grazia” e lasciamo da parte consapevolmente le “opere”.

Le opere ci sono eccessivamente sospette. Pensiamo a costosi certificati d’indulgenze, a messe, pellegrinaggi ed ecco che abbiamo davanti agli occhi tutto lo scenario horror della devozione medioevale, che ha dato il via alla Riforma.

La lettera di Giacomo mette forse in dubbio le nostre idee evangeliche e le loro conseguenze e princìpi?

E quindi non è più soltanto “per sola fede”?

 

No, cara Comunità,

non voglio opporre il nostro testo biblico di oggi alla posizione della Riforma e ritengo che non si debba contrapporre Giacomo a Paolo, su cui Lutero si basa con tutta la forza.

 

Giacomo non è contro la fede e per le opere.

Non è questo il punto! Il punto è di quale genere di fede si tratti!

 

Motivo sufficiente per noi, oggi, per delineare, ancora una volta, il profilo della fede.

Che cosa facciamo, in effetti, quando crediamo? E che cosa non facciamo?

 

Naturalmente, è importante in chi crediamo.

Anche solo nella questione riguardo a in chi crediamo si trova un grosso rischio.

In chi credono le persone, allora? Davvero nel Dio vivente o in un’immagine distorta di lui, autoprodotta o imposta da altri? Credono in un ideale autoprodotto, in obiettivi e modelli di pensiero ripresi da altri o, nel caso peggiore, in se stessi?

Solo la fede in una Controparte libera, agente, sovrana può renderci liberi e mantenerci aperti per tutta la vita. Solo un Dio vivente è un correttivo salutare, per noi; come un buon coniuge.

Mi spingerei perfino a dire che la fede cristiana, come atteggiamento, è determinata in tutto e per tutto da ciò in cui crede. Il contenuto fa la fede. Non il contrario! Non è che noi abbiamo deciso o scelto in chi crediamo. Se crediamo in Gesù Cristo, allora è lui ad averci attirati, sopraffatti, convinti.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù. E, di fatto, la fede in lui non è una scelta fatta sul menù della religione, che il mondo ci porge e che scegliamo a nostro gusto o che possiamo cambiare, ma è un rapporto esistenziale vincolante.

 

La fede non è un appetito per il soprannaturale, insito nell’essere umano, per cui scegliamo qualcosa.

La fede non è nemmeno pura ripresa di ciò che ci è proposto da genitori, Chiesa o scuola. Spesso e per molto tempo si sono viste le cose in tal modo. La fede, soprattutto da parte cattolica, era un credere condiviso in ciò che la Chiesa crede. Ciò che tu stesso pensi o capisci è ininfluente; la cosa importante è che non lo metti in dubbio.

La fede non è ubbidienza cieca ad un’autorità; ma, se è ubbidienza, allora è ubbidienza appassionata del Dio vivente, riconosciuto come Signore e Maestro del proprio destino e di tutto il mondo.

Ripeto: è il contenuto che fa la fede. Non il contrario!

Dio ci plasma, e noi lo lasciamo fare. Gesù ci guida, e noi lo seguiamo.

Se fosse la fede a fare Dio, allora i critici della religione sarebbero nel giusto.

Ma non è così. Dio c’era da prima e, se noi crediamo in lui, allora è lui ad averci donato questa certezza.

 

Ed ora, già solo muovendo dal contenuto della fede, abbiamo visto che non può essere un mero ritener-per-vero, né ubbidienza fredda, né condivisione cieca di un cammino.

La fede cristiana è sempre relazione, relazione viva col Dio vivente.

Se un matrimonio è diventato solo promessa sbiadita, non ci si parla più e non si fas più nulla con l’altro e all’altro; se si ci si limita a vivere l’uno a fianco dell’altro, allora non parliamo più di relazione viva.

Purtroppo, così appare la fede di alcuni cristiani. Non è solo la cornice sbiadita di ciò cui una volta si era detto di sì.

Non è più una fede viva. Ed è questo che Giacomo ha davanti agli occhi, con la sua critica: la fede che non è più altro che forma di vita prestabilita, in cui vivo; la fede che non è più altro che un alibi di fronte alle questioni del destino o di fronte a me stesso.

 

La fede, però, dev’essere sempre fede viva, già a partire dal suo contenuto.

“La fede è una cosa operosa, attiva”, dice Martin Lutero, non lasciando dubbi circa il fatto che la fede non sia ubbidienza passiva, invisibile, ma un essere sopraffatti dalla propria controparte; che sia un essere innamorati appassionato della propria controparte. E gli innamorati, come sapete, cara Comunità, non solo per niente inoperosi e passivi, ma sono oltremodo “operosi e attivi”. Gli innamorati fanno ogni genere di cose, talune sensate e talaltre folli. Ricordiamoci di tutto ciò che abbiamo fatto quando eravamo innamorati.

Talvolta, vorrei che la nostra Chiesa facesse più cose folli, piuttosto che non farne affatto.

Chi è sopraffatto da Dio, non si domanda come ciò appaia all’esterno, ma agisce, semplicemente; talvolta, anche in modo un po’ folle.

Così come Raab la prostituta, che nascose due spie straniere, israelite, perché era stata sopraffatta dal Dio d’Israele. (Abbiamo sentito il racconto domenica scorsa).

Come Abraamo, che fu talmente folle da legare il proprio figlio perché era stato sopraffatto da Dio.

 

La fede, se è fede autentica, se è fede viva, non può restare inoperosa. Qui, Giacomo ha ragione.

 

Chi, nella fede, si riconosce come immagine di Dio, non può far altro che cooperare con questo Dio, per il bene delle sue creature.

Chi, nella fede in Gesù, si riconosce ritrovato e chiamato a venir viva dalle vie sbagliate e dagli errori della propria vita, non può far altro che invitare altri a venire a quest’ancora di salvezza.

Chi crede è automaticamente in rapporto di cooperazione con il suo Dio; vuole quel ch’egli vuole; coopera a ciò che egli opera.

E, ovviamente, tale cooperazione è del tutto asimmetrica: è, naturalmente, soltanto il Dio creatore a raggiungere la meta, ma non vuole raggiungerla senza tener conto dell’essere umano.

 

La fede è la relazione viva con un Dio che è in cammino con me e con tutto questo mendo. E su questo cammino, cammino anch’io. Non resto sul ciglio della strada a guardare.

 

Chi sa questo e chi è consapevole di questo squilibrio radicale tra Dio e lui, può fare in piena serenità ciò che può e lasciare a Dio ciò che va oltre il suo potere.

Proprio nel rapporto con i cambiamenti climatici mi sembra che quest’idea sia molto attuale.

Ci sono di quelli che dicono che non si può far nulla e che vogliono lasciare che tutto faccia il suo corso.

E poi ci sono di quelli che vogliono raddrizzare la barra con le proprie azioni e misure e che spingono, suscitando panico.

 

La fede ci custodisce da questi due estremi.

Col Creatore alle spalle, faremo, usando tutti nostri doni e possibilità, quanto possibile per conservare questo mondo.

Al tempo stesso, non dobbiamo cadere nel panico, ma dobbiamo confidare che il Creatore raggiunga il suo scopo con il suo creato.

È lui a raggiungere la meta, ma non senza tener conto di noi; invece, ci prende al suo servizio.

E questo potete trasporlo in tutti gli ambiti della vita: nel rapporto con i nostri malati; con coloro che ci rendono la vita difficile; con quelli con cui non sappiamo più come comportarci.

Dio cammina con loro – e noi dobbiamo solo fare i suoi assistenti.

Dio conduce le sue creature a meta, per usare un’immagine sportiva; noi non dobbiamo portare nessuno oltre la linea di meta. Sarebbe oltre le nostre forze. Noi dobbiamo solo andare insieme per un tratto, porgere l’acqua da bere, incoraggiare e, a volte, bendare una ferita.

 

Siamo sollecitati, ma non oltre le nostre possibilità.

Siamo in cammino, ma non da soli.

Abbiamo responsabilità, non solo le nostre forze.

È questo che costituisce la motivazione cristiana.

È questo che fa una fede autentica, fede che non è morta, ma che è faccenda oltremodo viva e creativa.

La fede senza le opere non funziona. Qui, Giacomo ha ragione.

Facciamocelo dire, oggi, in modo del tutto nuovo!

Ma Paolo e Lutero hanno anche ragione e ammoniscono la cristianità, muovendo dall’altro lato.

Le opere senza la fede sono il problema!

Perché facciamo le opere buone? Qual è la nostra motivazione?

Queste domande sono esplosive oggi come lo furono al tempo della Riforma.

 

Perché facciamo le opere buone?

Domandatevelo e domandiamocelo, guardando alle tante azioni che vengono compiute nel nostro mondo.

Perché?

Per farsi un nome?

Per calcolo, per ricevere qualcosa in cambio?

Per desiderio di conferma e riconoscimento?

O per mera paura?

 

È stato ed è il punto di forza della dottrina evangelica, quello di porre, insieme con Paolo, Agostino e Lutero, la questione della motivazione in modo del tutto onesto, in tutto ciò che facciamo di buono! Perché la motivazione sbagliata può intossicare la migliore delle opere, se viene compiuta per vanità, calcolo o presunzione.

 

Anche qui può esserci solo una motivazione giusta: a partire dalla fede, dalla consapevolezza di essere in cammino insieme con Dio, senza calcoli, senza “affari”, senza aspettative di ricevere il Nobel per la pace, ma semplicemente per simpatia con dio e con le sue creature. Per amare, perché si è infinitamente amati. Per guarire, perché si è stati guariti da Gesù innumerevoli volte. Per consolare, perché ci sono state asciugate le lacrime innumerevoli volte.

 

Care Sorelle e cari Fratelli nella fede!

Noi non abbiamo una fede qualsiasi. Noi conosciamo, invece, la forma di vita più preziosa che si possa trovare in terra.

La relazione viva col Dio vivente, che ci rende capaci di azioni vive e che, per la sua stessa vitalità, non ci abbandona alla morte.

Così si vive e così si crede. E tra le due cose non c’è più alcuna differenza.

Amen.Giacomo 2, 14-26

 

14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi, uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
20 Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. 24 Voi vedete dunque che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

 

 

Cara Comunità!

“La cosa importante è avere una fede.”

Così si sente spesso dire, in quest’epoca piuttosto laica.

“La cosa importante è avere una fede.” E noi gente di chiesa sia contenti già se qualcuno dichiara di essere religioso.

“La cosa importante è avere una fede.”

Ma è davvero così facile?

Davvero basta avere una fede qualsiasi in qualcosa?

Non possiamo mettere l’assicella così in basso.

Né la metteremo così in basso nemmeno nella nostra chiesa.

Domenica dopo domenica, ci sforziamo di delineare il profilo di questa fede.

Come Chiesa pia, siamo abituati a dichiarare con la massima chiarezza in chi crediamo. Questa è una cosa che mi sta molto a cuore, personalmente. Lo sapete.

Ma non è solo questo che va messo a fuoco. Qui, a sorprendermi è il monito senza compromessi di Giacomo-

Non si tratta solo del contenuto della fede: si tratta anche della sua parte visibile.

Non si tratta solo della presenza e della forza della nostra fede personale, ma anche dei suoi effetti.

La fede senza opere non è fede!

Giacomo ce lo sbatte con durezza e chiarezza contro le nostre orecchie plasmate dalla Riforma.

Siamo abituati a sottolineare l’effetto salvifico della fede. Ripetiamo le formule “per sola fede”, “solo Cristo”, “per sola grazia” e lasciamo da parte consapevolmente le “opere”.

Le opere ci sono eccessivamente sospette. Pensiamo a costosi certificati d’indulgenze, a messe, pellegrinaggi ed ecco che abbiamo davanti agli occhi tutto lo scenario horror della devozione medioevale, che ha dato il via alla Riforma.

La lettera di Giacomo mette forse in dubbio le nostre idee evangeliche e le loro conseguenze e princìpi?

E quindi non è più soltanto “per sola fede”?

 

No, cara Comunità,

non voglio opporre il nostro testo biblico di oggi alla posizione della Riforma e ritengo che non si debba contrapporre Giacomo a Paolo, su cui Lutero si basa con tutta la forza.

 

Giacomo non è contro la fede e per le opere.

Non è questo il punto! Il punto è di quale genere di fede si tratti!

 

Motivo sufficiente per noi, oggi, per delineare, ancora una volta, il profilo della fede.

Che cosa facciamo, in effetti, quando crediamo? E che cosa non facciamo?

 

Naturalmente, è importante in chi crediamo.

Anche solo nella questione riguardo a in chi crediamo si trova un grosso rischio.

In chi credono le persone, allora? Davvero nel Dio vivente o in un’immagine distorta di lui, autoprodotta o imposta da altri? Credono in un ideale autoprodotto, in obiettivi e modelli di pensiero ripresi da altri o, nel caso peggiore, in se stessi?

Solo la fede in una Controparte libera, agente, sovrana può renderci liberi e mantenerci aperti per tutta la vita. Solo un Dio vivente è un correttivo salutare, per noi; come un buon coniuge.

Mi spingerei perfino a dire che la fede cristiana, come atteggiamento, è determinata in tutto e per tutto da ciò in cui crede. Il contenuto fa la fede. Non il contrario! Non è che noi abbiamo deciso o scelto in chi crediamo. Se crediamo in Gesù Cristo, allora è lui ad averci attirati, sopraffatti, convinti.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù. E, di fatto, la fede in lui non è una scelta fatta sul menù della religione, che il mondo ci porge e che scegliamo a nostro gusto o che possiamo cambiare, ma è un rapporto esistenziale vincolante.

 

La fede non è un appetito per il soprannaturale, insito nell’essere umano, per cui scegliamo qualcosa.

La fede non è nemmeno pura ripresa di ciò che ci è proposto da genitori, Chiesa o scuola. Spesso e per molto tempo si sono viste le cose in tal modo. La fede, soprattutto da parte cattolica, era un credere condiviso in ciò che la Chiesa crede. Ciò che tu stesso pensi o capisci è ininfluente; la cosa importante è che non lo metti in dubbio.

La fede non è ubbidienza cieca ad un’autorità; ma, se è ubbidienza, allora è ubbidienza appassionata del Dio vivente, riconosciuto come Signore e Maestro del proprio destino e di tutto il mondo.

Ripeto: è il contenuto che fa la fede. Non il contrario!

Dio ci plasma, e noi lo lasciamo fare. Gesù ci guida, e noi lo seguiamo.

Se fosse la fede a fare Dio, allora i critici della religione sarebbero nel giusto.

Ma non è così. Dio c’era da prima e, se noi crediamo in lui, allora è lui ad averci donato questa certezza.

 

Ed ora, già solo muovendo dal contenuto della fede, abbiamo visto che non può essere un mero ritener-per-vero, né ubbidienza fredda, né condivisione cieca di un cammino.

La fede cristiana è sempre relazione, relazione viva col Dio vivente.

Se un matrimonio è diventato solo promessa sbiadita, non ci si parla più e non si fas più nulla con l’altro e all’altro; se si ci si limita a vivere l’uno a fianco dell’altro, allora non parliamo più di relazione viva.

Purtroppo, così appare la fede di alcuni cristiani. Non è solo la cornice sbiadita di ciò cui una volta si era detto di sì.

Non è più una fede viva. Ed è questo che Giacomo ha davanti agli occhi, con la sua critica: la fede che non è più altro che forma di vita prestabilita, in cui vivo; la fede che non è più altro che un alibi di fronte alle questioni del destino o di fronte a me stesso.

 

La fede, però, dev’essere sempre fede viva, già a partire dal suo contenuto.

“La fede è una cosa operosa, attiva”, dice Martin Lutero, non lasciando dubbi circa il fatto che la fede non sia ubbidienza passiva, invisibile, ma un essere sopraffatti dalla propria controparte; che sia un essere innamorati appassionato della propria controparte. E gli innamorati, come sapete, cara Comunità, non solo per niente inoperosi e passivi, ma sono oltremodo “operosi e attivi”. Gli innamorati fanno ogni genere di cose, talune sensate e talaltre folli. Ricordiamoci di tutto ciò che abbiamo fatto quando eravamo innamorati.

Talvolta, vorrei che la nostra Chiesa facesse più cose folli, piuttosto che non farne affatto.

Chi è sopraffatto da Dio, non si domanda come ciò appaia all’esterno, ma agisce, semplicemente; talvolta, anche in modo un po’ folle.

Così come Raab la prostituta, che nascose due spie straniere, israelite, perché era stata sopraffatta dal Dio d’Israele. (Abbiamo sentito il racconto domenica scorsa).

Come Abraamo, che fu talmente folle da legare il proprio figlio perché era stato sopraffatto da Dio.

 

La fede, se è fede autentica, se è fede viva, non può restare inoperosa. Qui, Giacomo ha ragione.

 

Chi, nella fede, si riconosce come immagine di Dio, non può far altro che cooperare con questo Dio, per il bene delle sue creature.

Chi, nella fede in Gesù, si riconosce ritrovato e chiamato a venir viva dalle vie sbagliate e dagli errori della propria vita, non può far altro che invitare altri a venire a quest’ancora di salvezza.

Chi crede è automaticamente in rapporto di cooperazione con il suo Dio; vuole quel ch’egli vuole; coopera a ciò che egli opera.

E, ovviamente, tale cooperazione è del tutto asimmetrica: è, naturalmente, soltanto il Dio creatore a raggiungere la meta, ma non vuole raggiungerla senza tener conto dell’essere umano.

 

La fede è la relazione viva con un Dio che è in cammino con me e con tutto questo mendo. E su questo cammino, cammino anch’io. Non resto sul ciglio della strada a guardare.

 

Chi sa questo e chi è consapevole di questo squilibrio radicale tra Dio e lui, può fare in piena serenità ciò che può e lasciare a Dio ciò che va oltre il suo potere.

Proprio nel rapporto con i cambiamenti climatici mi sembra che quest’idea sia molto attuale.

Ci sono di quelli che dicono che non si può far nulla e che vogliono lasciare che tutto faccia il suo corso.

E poi ci sono di quelli che vogliono raddrizzare la barra con le proprie azioni e misure e che spingono, suscitando panico.

 

La fede ci custodisce da questi due estremi.

Col Creatore alle spalle, faremo, usando tutti nostri doni e possibilità, quanto possibile per conservare questo mondo.

Al tempo stesso, non dobbiamo cadere nel panico, ma dobbiamo confidare che il Creatore raggiunga il suo scopo con il suo creato.

È lui a raggiungere la meta, ma non senza tener conto di noi; invece, ci prende al suo servizio.

E questo potete trasporlo in tutti gli ambiti della vita: nel rapporto con i nostri malati; con coloro che ci rendono la vita difficile; con quelli con cui non sappiamo più come comportarci.

Dio cammina con loro – e noi dobbiamo solo fare i suoi assistenti.

Dio conduce le sue creature a meta, per usare un’immagine sportiva; noi non dobbiamo portare nessuno oltre la linea di meta. Sarebbe oltre le nostre forze. Noi dobbiamo solo andare insieme per un tratto, porgere l’acqua da bere, incoraggiare e, a volte, bendare una ferita.

 

Siamo sollecitati, ma non oltre le nostre possibilità.

Siamo in cammino, ma non da soli.

Abbiamo responsabilità, non solo le nostre forze.

È questo che costituisce la motivazione cristiana.

È questo che fa una fede autentica, fede che non è morta, ma che è faccenda oltremodo viva e creativa.

La fede senza le opere non funziona. Qui, Giacomo ha ragione.

Facciamocelo dire, oggi, in modo del tutto nuovo!

Ma Paolo e Lutero hanno anche ragione e ammoniscono la cristianità, muovendo dall’altro lato.

Le opere senza la fede sono il problema!

Perché facciamo le opere buone? Qual è la nostra motivazione?

Queste domande sono esplosive oggi come lo furono al tempo della Riforma.

 

Perché facciamo le opere buone?

Domandatevelo e domandiamocelo, guardando alle tante azioni che vengono compiute nel nostro mondo.

Perché?

Per farsi un nome?

Per calcolo, per ricevere qualcosa in cambio?

Per desiderio di conferma e riconoscimento?

O per mera paura?

 

È stato ed è il punto di forza della dottrina evangelica, quello di porre, insieme con Paolo, Agostino e Lutero, la questione della motivazione in modo del tutto onesto, in tutto ciò che facciamo di buono! Perché la motivazione sbagliata può intossicare la migliore delle opere, se viene compiuta per vanità, calcolo o presunzione.

 

Anche qui può esserci solo una motivazione giusta: a partire dalla fede, dalla consapevolezza di essere in cammino insieme con Dio, senza calcoli, senza “affari”, senza aspettative di ricevere il Nobel per la pace, ma semplicemente per simpatia con dio e con le sue creature. Per amare, perché si è infinitamente amati. Per guarire, perché si è stati guariti da Gesù innumerevoli volte. Per consolare, perché ci sono state asciugate le lacrime innumerevoli volte.

 

Care Sorelle e cari Fratelli nella fede!

Noi non abbiamo una fede qualsiasi. Noi conosciamo, invece, la forma di vita più preziosa che si possa trovare in terra.

La relazione viva col Dio vivente, che ci rende capaci di azioni vive e che, per la sua stessa vitalità, non ci abbandona alla morte.

Così si vive e così si crede. E tra le due cose non c’è più alcuna differenza.

Amen.Giacomo 2, 14-26

 

14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi, uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
20 Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. 24 Voi vedete dunque che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

 

 

Cara Comunità!

“La cosa importante è avere una fede.”

Così si sente spesso dire, in quest’epoca piuttosto laica.

“La cosa importante è avere una fede.” E noi gente di chiesa sia contenti già se qualcuno dichiara di essere religioso.

“La cosa importante è avere una fede.”

Ma è davvero così facile?

Davvero basta avere una fede qualsiasi in qualcosa?

Non possiamo mettere l’assicella così in basso.

Né la metteremo così in basso nemmeno nella nostra chiesa.

Domenica dopo domenica, ci sforziamo di delineare il profilo di questa fede.

Come Chiesa pia, siamo abituati a dichiarare con la massima chiarezza in chi crediamo. Questa è una cosa che mi sta molto a cuore, personalmente. Lo sapete.

Ma non è solo questo che va messo a fuoco. Qui, a sorprendermi è il monito senza compromessi di Giacomo-

Non si tratta solo del contenuto della fede: si tratta anche della sua parte visibile.

Non si tratta solo della presenza e della forza della nostra fede personale, ma anche dei suoi effetti.

La fede senza opere non è fede!

Giacomo ce lo sbatte con durezza e chiarezza contro le nostre orecchie plasmate dalla Riforma.

Siamo abituati a sottolineare l’effetto salvifico della fede. Ripetiamo le formule “per sola fede”, “solo Cristo”, “per sola grazia” e lasciamo da parte consapevolmente le “opere”.

Le opere ci sono eccessivamente sospette. Pensiamo a costosi certificati d’indulgenze, a messe, pellegrinaggi ed ecco che abbiamo davanti agli occhi tutto lo scenario horror della devozione medioevale, che ha dato il via alla Riforma.

La lettera di Giacomo mette forse in dubbio le nostre idee evangeliche e le loro conseguenze e princìpi?

E quindi non è più soltanto “per sola fede”?

 

No, cara Comunità,

non voglio opporre il nostro testo biblico di oggi alla posizione della Riforma e ritengo che non si debba contrapporre Giacomo a Paolo, su cui Lutero si basa con tutta la forza.

 

Giacomo non è contro la fede e per le opere.

Non è questo il punto! Il punto è di quale genere di fede si tratti!

 

Motivo sufficiente per noi, oggi, per delineare, ancora una volta, il profilo della fede.

Che cosa facciamo, in effetti, quando crediamo? E che cosa non facciamo?

 

Naturalmente, è importante in chi crediamo.

Anche solo nella questione riguardo a in chi crediamo si trova un grosso rischio.

In chi credono le persone, allora? Davvero nel Dio vivente o in un’immagine distorta di lui, autoprodotta o imposta da altri? Credono in un ideale autoprodotto, in obiettivi e modelli di pensiero ripresi da altri o, nel caso peggiore, in se stessi?

Solo la fede in una Controparte libera, agente, sovrana può renderci liberi e mantenerci aperti per tutta la vita. Solo un Dio vivente è un correttivo salutare, per noi; come un buon coniuge.

Mi spingerei perfino a dire che la fede cristiana, come atteggiamento, è determinata in tutto e per tutto da ciò in cui crede. Il contenuto fa la fede. Non il contrario! Non è che noi abbiamo deciso o scelto in chi crediamo. Se crediamo in Gesù Cristo, allora è lui ad averci attirati, sopraffatti, convinti.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù. E, di fatto, la fede in lui non è una scelta fatta sul menù della religione, che il mondo ci porge e che scegliamo a nostro gusto o che possiamo cambiare, ma è un rapporto esistenziale vincolante.

 

La fede non è un appetito per il soprannaturale, insito nell’essere umano, per cui scegliamo qualcosa.

La fede non è nemmeno pura ripresa di ciò che ci è proposto da genitori, Chiesa o scuola. Spesso e per molto tempo si sono viste le cose in tal modo. La fede, soprattutto da parte cattolica, era un credere condiviso in ciò che la Chiesa crede. Ciò che tu stesso pensi o capisci è ininfluente; la cosa importante è che non lo metti in dubbio.

La fede non è ubbidienza cieca ad un’autorità; ma, se è ubbidienza, allora è ubbidienza appassionata del Dio vivente, riconosciuto come Signore e Maestro del proprio destino e di tutto il mondo.

Ripeto: è il contenuto che fa la fede. Non il contrario!

Dio ci plasma, e noi lo lasciamo fare. Gesù ci guida, e noi lo seguiamo.

Se fosse la fede a fare Dio, allora i critici della religione sarebbero nel giusto.

Ma non è così. Dio c’era da prima e, se noi crediamo in lui, allora è lui ad averci donato questa certezza.

 

Ed ora, già solo muovendo dal contenuto della fede, abbiamo visto che non può essere un mero ritener-per-vero, né ubbidienza fredda, né condivisione cieca di un cammino.

La fede cristiana è sempre relazione, relazione viva col Dio vivente.

Se un matrimonio è diventato solo promessa sbiadita, non ci si parla più e non si fas più nulla con l’altro e all’altro; se si ci si limita a vivere l’uno a fianco dell’altro, allora non parliamo più di relazione viva.

Purtroppo, così appare la fede di alcuni cristiani. Non è solo la cornice sbiadita di ciò cui una volta si era detto di sì.

Non è più una fede viva. Ed è questo che Giacomo ha davanti agli occhi, con la sua critica: la fede che non è più altro che forma di vita prestabilita, in cui vivo; la fede che non è più altro che un alibi di fronte alle questioni del destino o di fronte a me stesso.

 

La fede, però, dev’essere sempre fede viva, già a partire dal suo contenuto.

“La fede è una cosa operosa, attiva”, dice Martin Lutero, non lasciando dubbi circa il fatto che la fede non sia ubbidienza passiva, invisibile, ma un essere sopraffatti dalla propria controparte; che sia un essere innamorati appassionato della propria controparte. E gli innamorati, come sapete, cara Comunità, non solo per niente inoperosi e passivi, ma sono oltremodo “operosi e attivi”. Gli innamorati fanno ogni genere di cose, talune sensate e talaltre folli. Ricordiamoci di tutto ciò che abbiamo fatto quando eravamo innamorati.

Talvolta, vorrei che la nostra Chiesa facesse più cose folli, piuttosto che non farne affatto.

Chi è sopraffatto da Dio, non si domanda come ciò appaia all’esterno, ma agisce, semplicemente; talvolta, anche in modo un po’ folle.

Così come Raab la prostituta, che nascose due spie straniere, israelite, perché era stata sopraffatta dal Dio d’Israele. (Abbiamo sentito il racconto domenica scorsa).

Come Abraamo, che fu talmente folle da legare il proprio figlio perché era stato sopraffatto da Dio.

 

La fede, se è fede autentica, se è fede viva, non può restare inoperosa. Qui, Giacomo ha ragione.

 

Chi, nella fede, si riconosce come immagine di Dio, non può far altro che cooperare con questo Dio, per il bene delle sue creature.

Chi, nella fede in Gesù, si riconosce ritrovato e chiamato a venir viva dalle vie sbagliate e dagli errori della propria vita, non può far altro che invitare altri a venire a quest’ancora di salvezza.

Chi crede è automaticamente in rapporto di cooperazione con il suo Dio; vuole quel ch’egli vuole; coopera a ciò che egli opera.

E, ovviamente, tale cooperazione è del tutto asimmetrica: è, naturalmente, soltanto il Dio creatore a raggiungere la meta, ma non vuole raggiungerla senza tener conto dell’essere umano.

 

La fede è la relazione viva con un Dio che è in cammino con me e con tutto questo mendo. E su questo cammino, cammino anch’io. Non resto sul ciglio della strada a guardare.

 

Chi sa questo e chi è consapevole di questo squilibrio radicale tra Dio e lui, può fare in piena serenità ciò che può e lasciare a Dio ciò che va oltre il suo potere.

Proprio nel rapporto con i cambiamenti climatici mi sembra che quest’idea sia molto attuale.

Ci sono di quelli che dicono che non si può far nulla e che vogliono lasciare che tutto faccia il suo corso.

E poi ci sono di quelli che vogliono raddrizzare la barra con le proprie azioni e misure e che spingono, suscitando panico.

 

La fede ci custodisce da questi due estremi.

Col Creatore alle spalle, faremo, usando tutti nostri doni e possibilità, quanto possibile per conservare questo mondo.

Al tempo stesso, non dobbiamo cadere nel panico, ma dobbiamo confidare che il Creatore raggiunga il suo scopo con il suo creato.

È lui a raggiungere la meta, ma non senza tener conto di noi; invece, ci prende al suo servizio.

E questo potete trasporlo in tutti gli ambiti della vita: nel rapporto con i nostri malati; con coloro che ci rendono la vita difficile; con quelli con cui non sappiamo più come comportarci.

Dio cammina con loro – e noi dobbiamo solo fare i suoi assistenti.

Dio conduce le sue creature a meta, per usare un’immagine sportiva; noi non dobbiamo portare nessuno oltre la linea di meta. Sarebbe oltre le nostre forze. Noi dobbiamo solo andare insieme per un tratto, porgere l’acqua da bere, incoraggiare e, a volte, bendare una ferita.

 

Siamo sollecitati, ma non oltre le nostre possibilità.

Siamo in cammino, ma non da soli.

Abbiamo responsabilità, non solo le nostre forze.

È questo che costituisce la motivazione cristiana.

È questo che fa una fede autentica, fede che non è morta, ma che è faccenda oltremodo viva e creativa.

La fede senza le opere non funziona. Qui, Giacomo ha ragione.

Facciamocelo dire, oggi, in modo del tutto nuovo!

Ma Paolo e Lutero hanno anche ragione e ammoniscono la cristianità, muovendo dall’altro lato.

Le opere senza la fede sono il problema!

Perché facciamo le opere buone? Qual è la nostra motivazione?

Queste domande sono esplosive oggi come lo furono al tempo della Riforma.

 

Perché facciamo le opere buone?

Domandatevelo e domandiamocelo, guardando alle tante azioni che vengono compiute nel nostro mondo.

Perché?

Per farsi un nome?

Per calcolo, per ricevere qualcosa in cambio?

Per desiderio di conferma e riconoscimento?

O per mera paura?

 

È stato ed è il punto di forza della dottrina evangelica, quello di porre, insieme con Paolo, Agostino e Lutero, la questione della motivazione in modo del tutto onesto, in tutto ciò che facciamo di buono! Perché la motivazione sbagliata può intossicare la migliore delle opere, se viene compiuta per vanità, calcolo o presunzione.

 

Anche qui può esserci solo una motivazione giusta: a partire dalla fede, dalla consapevolezza di essere in cammino insieme con Dio, senza calcoli, senza “affari”, senza aspettative di ricevere il Nobel per la pace, ma semplicemente per simpatia con dio e con le sue creature. Per amare, perché si è infinitamente amati. Per guarire, perché si è stati guariti da Gesù innumerevoli volte. Per consolare, perché ci sono state asciugate le lacrime innumerevoli volte.

 

Care Sorelle e cari Fratelli nella fede!

Noi non abbiamo una fede qualsiasi. Noi conosciamo, invece, la forma di vita più preziosa che si possa trovare in terra.

La relazione viva col Dio vivente, che ci rende capaci di azioni vive e che, per la sua stessa vitalità, non ci abbandona alla morte.

Così si vive e così si crede. E tra le due cose non c’è più alcuna differenza.

Amen.Giacomo 2, 14-26

 

14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi, uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
20 Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. 24 Voi vedete dunque che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

 

 

Cara Comunità!

“La cosa importante è avere una fede.”

Così si sente spesso dire, in quest’epoca piuttosto laica.

“La cosa importante è avere una fede.” E noi gente di chiesa sia contenti già se qualcuno dichiara di essere religioso.

“La cosa importante è avere una fede.”

Ma è davvero così facile?

Davvero basta avere una fede qualsiasi in qualcosa?

Non possiamo mettere l’assicella così in basso.

Né la metteremo così in basso nemmeno nella nostra chiesa.

Domenica dopo domenica, ci sforziamo di delineare il profilo di questa fede.

Come Chiesa pia, siamo abituati a dichiarare con la massima chiarezza in chi crediamo. Questa è una cosa che mi sta molto a cuore, personalmente. Lo sapete.

Ma non è solo questo che va messo a fuoco. Qui, a sorprendermi è il monito senza compromessi di Giacomo-

Non si tratta solo del contenuto della fede: si tratta anche della sua parte visibile.

Non si tratta solo della presenza e della forza della nostra fede personale, ma anche dei suoi effetti.

La fede senza opere non è fede!

Giacomo ce lo sbatte con durezza e chiarezza contro le nostre orecchie plasmate dalla Riforma.

Siamo abituati a sottolineare l’effetto salvifico della fede. Ripetiamo le formule “per sola fede”, “solo Cristo”, “per sola grazia” e lasciamo da parte consapevolmente le “opere”.

Le opere ci sono eccessivamente sospette. Pensiamo a costosi certificati d’indulgenze, a messe, pellegrinaggi ed ecco che abbiamo davanti agli occhi tutto lo scenario horror della devozione medioevale, che ha dato il via alla Riforma.

La lettera di Giacomo mette forse in dubbio le nostre idee evangeliche e le loro conseguenze e princìpi?

E quindi non è più soltanto “per sola fede”?

 

No, cara Comunità,

non voglio opporre il nostro testo biblico di oggi alla posizione della Riforma e ritengo che non si debba contrapporre Giacomo a Paolo, su cui Lutero si basa con tutta la forza.

 

Giacomo non è contro la fede e per le opere.

Non è questo il punto! Il punto è di quale genere di fede si tratti!

 

Motivo sufficiente per noi, oggi, per delineare, ancora una volta, il profilo della fede.

Che cosa facciamo, in effetti, quando crediamo? E che cosa non facciamo?

 

Naturalmente, è importante in chi crediamo.

Anche solo nella questione riguardo a in chi crediamo si trova un grosso rischio.

In chi credono le persone, allora? Davvero nel Dio vivente o in un’immagine distorta di lui, autoprodotta o imposta da altri? Credono in un ideale autoprodotto, in obiettivi e modelli di pensiero ripresi da altri o, nel caso peggiore, in se stessi?

Solo la fede in una Controparte libera, agente, sovrana può renderci liberi e mantenerci aperti per tutta la vita. Solo un Dio vivente è un correttivo salutare, per noi; come un buon coniuge.

Mi spingerei perfino a dire che la fede cristiana, come atteggiamento, è determinata in tutto e per tutto da ciò in cui crede. Il contenuto fa la fede. Non il contrario! Non è che noi abbiamo deciso o scelto in chi crediamo. Se crediamo in Gesù Cristo, allora è lui ad averci attirati, sopraffatti, convinti.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù. E, di fatto, la fede in lui non è una scelta fatta sul menù della religione, che il mondo ci porge e che scegliamo a nostro gusto o che possiamo cambiare, ma è un rapporto esistenziale vincolante.

 

La fede non è un appetito per il soprannaturale, insito nell’essere umano, per cui scegliamo qualcosa.

La fede non è nemmeno pura ripresa di ciò che ci è proposto da genitori, Chiesa o scuola. Spesso e per molto tempo si sono viste le cose in tal modo. La fede, soprattutto da parte cattolica, era un credere condiviso in ciò che la Chiesa crede. Ciò che tu stesso pensi o capisci è ininfluente; la cosa importante è che non lo metti in dubbio.

La fede non è ubbidienza cieca ad un’autorità; ma, se è ubbidienza, allora è ubbidienza appassionata del Dio vivente, riconosciuto come Signore e Maestro del proprio destino e di tutto il mondo.

Ripeto: è il contenuto che fa la fede. Non il contrario!

Dio ci plasma, e noi lo lasciamo fare. Gesù ci guida, e noi lo seguiamo.

Se fosse la fede a fare Dio, allora i critici della religione sarebbero nel giusto.

Ma non è così. Dio c’era da prima e, se noi crediamo in lui, allora è lui ad averci donato questa certezza.

 

Ed ora, già solo muovendo dal contenuto della fede, abbiamo visto che non può essere un mero ritener-per-vero, né ubbidienza fredda, né condivisione cieca di un cammino.

La fede cristiana è sempre relazione, relazione viva col Dio vivente.

Se un matrimonio è diventato solo promessa sbiadita, non ci si parla più e non si fas più nulla con l’altro e all’altro; se si ci si limita a vivere l’uno a fianco dell’altro, allora non parliamo più di relazione viva.

Purtroppo, così appare la fede di alcuni cristiani. Non è solo la cornice sbiadita di ciò cui una volta si era detto di sì.

Non è più una fede viva. Ed è questo che Giacomo ha davanti agli occhi, con la sua critica: la fede che non è più altro che forma di vita prestabilita, in cui vivo; la fede che non è più altro che un alibi di fronte alle questioni del destino o di fronte a me stesso.

 

La fede, però, dev’essere sempre fede viva, già a partire dal suo contenuto.

“La fede è una cosa operosa, attiva”, dice Martin Lutero, non lasciando dubbi circa il fatto che la fede non sia ubbidienza passiva, invisibile, ma un essere sopraffatti dalla propria controparte; che sia un essere innamorati appassionato della propria controparte. E gli innamorati, come sapete, cara Comunità, non solo per niente inoperosi e passivi, ma sono oltremodo “operosi e attivi”. Gli innamorati fanno ogni genere di cose, talune sensate e talaltre folli. Ricordiamoci di tutto ciò che abbiamo fatto quando eravamo innamorati.

Talvolta, vorrei che la nostra Chiesa facesse più cose folli, piuttosto che non farne affatto.

Chi è sopraffatto da Dio, non si domanda come ciò appaia all’esterno, ma agisce, semplicemente; talvolta, anche in modo un po’ folle.

Così come Raab la prostituta, che nascose due spie straniere, israelite, perché era stata sopraffatta dal Dio d’Israele. (Abbiamo sentito il racconto domenica scorsa).

Come Abraamo, che fu talmente folle da legare il proprio figlio perché era stato sopraffatto da Dio.

 

La fede, se è fede autentica, se è fede viva, non può restare inoperosa. Qui, Giacomo ha ragione.

 

Chi, nella fede, si riconosce come immagine di Dio, non può far altro che cooperare con questo Dio, per il bene delle sue creature.

Chi, nella fede in Gesù, si riconosce ritrovato e chiamato a venir viva dalle vie sbagliate e dagli errori della propria vita, non può far altro che invitare altri a venire a quest’ancora di salvezza.

Chi crede è automaticamente in rapporto di cooperazione con il suo Dio; vuole quel ch’egli vuole; coopera a ciò che egli opera.

E, ovviamente, tale cooperazione è del tutto asimmetrica: è, naturalmente, soltanto il Dio creatore a raggiungere la meta, ma non vuole raggiungerla senza tener conto dell’essere umano.

 

La fede è la relazione viva con un Dio che è in cammino con me e con tutto questo mendo. E su questo cammino, cammino anch’io. Non resto sul ciglio della strada a guardare.

 

Chi sa questo e chi è consapevole di questo squilibrio radicale tra Dio e lui, può fare in piena serenità ciò che può e lasciare a Dio ciò che va oltre il suo potere.

Proprio nel rapporto con i cambiamenti climatici mi sembra che quest’idea sia molto attuale.

Ci sono di quelli che dicono che non si può far nulla e che vogliono lasciare che tutto faccia il suo corso.

E poi ci sono di quelli che vogliono raddrizzare la barra con le proprie azioni e misure e che spingono, suscitando panico.

 

La fede ci custodisce da questi due estremi.

Col Creatore alle spalle, faremo, usando tutti nostri doni e possibilità, quanto possibile per conservare questo mondo.

Al tempo stesso, non dobbiamo cadere nel panico, ma dobbiamo confidare che il Creatore raggiunga il suo scopo con il suo creato.

È lui a raggiungere la meta, ma non senza tener conto di noi; invece, ci prende al suo servizio.

E questo potete trasporlo in tutti gli ambiti della vita: nel rapporto con i nostri malati; con coloro che ci rendono la vita difficile; con quelli con cui non sappiamo più come comportarci.

Dio cammina con loro – e noi dobbiamo solo fare i suoi assistenti.

Dio conduce le sue creature a meta, per usare un’immagine sportiva; noi non dobbiamo portare nessuno oltre la linea di meta. Sarebbe oltre le nostre forze. Noi dobbiamo solo andare insieme per un tratto, porgere l’acqua da bere, incoraggiare e, a volte, bendare una ferita.

 

Siamo sollecitati, ma non oltre le nostre possibilità.

Siamo in cammino, ma non da soli.

Abbiamo responsabilità, non solo le nostre forze.

È questo che costituisce la motivazione cristiana.

È questo che fa una fede autentica, fede che non è morta, ma che è faccenda oltremodo viva e creativa.

La fede senza le opere non funziona. Qui, Giacomo ha ragione.

Facciamocelo dire, oggi, in modo del tutto nuovo!

Ma Paolo e Lutero hanno anche ragione e ammoniscono la cristianità, muovendo dall’altro lato.

Le opere senza la fede sono il problema!

Perché facciamo le opere buone? Qual è la nostra motivazione?

Queste domande sono esplosive oggi come lo furono al tempo della Riforma.

 

Perché facciamo le opere buone?

Domandatevelo e domandiamocelo, guardando alle tante azioni che vengono compiute nel nostro mondo.

Perché?

Per farsi un nome?

Per calcolo, per ricevere qualcosa in cambio?

Per desiderio di conferma e riconoscimento?

O per mera paura?

 

È stato ed è il punto di forza della dottrina evangelica, quello di porre, insieme con Paolo, Agostino e Lutero, la questione della motivazione in modo del tutto onesto, in tutto ciò che facciamo di buono! Perché la motivazione sbagliata può intossicare la migliore delle opere, se viene compiuta per vanità, calcolo o presunzione.

 

Anche qui può esserci solo una motivazione giusta: a partire dalla fede, dalla consapevolezza di essere in cammino insieme con Dio, senza calcoli, senza “affari”, senza aspettative di ricevere il Nobel per la pace, ma semplicemente per simpatia con dio e con le sue creature. Per amare, perché si è infinitamente amati. Per guarire, perché si è stati guariti da Gesù innumerevoli volte. Per consolare, perché ci sono state asciugate le lacrime innumerevoli volte.

 

Care Sorelle e cari Fratelli nella fede!

Noi non abbiamo una fede qualsiasi. Noi conosciamo, invece, la forma di vita più preziosa che si possa trovare in terra.

La relazione viva col Dio vivente, che ci rende capaci di azioni vive e che, per la sua stessa vitalità, non ci abbandona alla morte.

Così si vive e così si crede. E tra le due cose non c’è più alcuna differenza.

Amen.

XVIII Domenica dopo Trinitatis – Pastore Dr. Jonas