Matteo 21, 1–11

1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2 dicendo loro: «Andate nella borgata che è di fronte a voi; troverete un’asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. 3 Se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà».
4 Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta:
5 «Dite alla figlia di Sion:
“Ecco il tuo re viene a te,
mansueto e montato sopra un’asina,
e un asinello, puledro d’asina”».
6 I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; 7 condussero l’asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. 8 La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 Le folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!»
10 Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» 11 E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazaret di Galilea»

 

Talvolta, cara Comunità, si resta delusi. Si è magari sperato di prendere una delle magnifiche corone dell’Avvento, fatte qui, nelle ultime settimane, da molte persone laboriose, per poi scoprire che erano già tutte vendute o che quella che si è trovata tra le rimaste non è quella dei desideri. Magari l’uno o l’altra avrà sperato di trovare al Bazar dell’Avvento, che ogni anno costituisce un momento saliente della vita della nostra comunità, un bel regalo di Natale e poi non avrà trovato niente di quello che si era immaginato. Peccato; è una delusione, ma del tipo con cui si può convivere.

Ma forse, alla fine dell’anno in corso, restano non adempiute anche alcune cose che avevamo desiderato per la nostra stessa vita o per quella di persone vicine. Talvolta, le cose vengono in modo diverso da quello immaginato e la vita prende una svolta inaspettata. Magari alcuni di noi si erano aspettati o avevano sperato che, nel 2024, in Europa sarebbe ritornata la pace; ed ora, all’inzio dell’Avvento, la guerra imperversa in Ucraina con durezza immutata e si è aggiunta anche un’altra terribile guerra, in Vicino Oriente. E talvolta si resta delusi anche dalle elezioni, di cui si sarebbe voluto che avessero un risultato diverso. Anche a questo, si suppone, riguarderanno alcuni di noi, pensando agli ultimi mesi. Le delusioni non possiamo bandirle dalla nostra vita. È importante, perciò, come noi ci rapportiamo ad esse; come le integriamo nella nostra vita, magari vedendo in esse perfino delle opportunità e delle prospettive nuove.

Ma che cos’hanno a che fare le delusioni con l’Avvento, che comincia oggi e in cui andiamo verso il Natale pieni di speranza, pregustandone la gioia, volendo attingere speranza e fiducia per il nuovo anno? Questa domanda vi verrà forse in mente, ora; ed è domanda più che giustificata. Ci conduce immediatamente al nostro testo per la predicazione della domenica odierna, prima d’Avvento. Si tratta di un testo che, pure, si occupa di delusioni e che ci conduce, in modo molto peculiare, nel tempo dell’Avvento.

 

Questo testo è tratto dal Vangelo di Matteo; lo abbiamo ascoltato poco fa come lettura. È il racconto dell’entrata di Gesù a Gerusalemme. Gesù entra nella città santa, che, allora come oggi, è il centro religioso e politico del popolo ebraico. E non lo fa semplicemente; ma è un’entrata che desta scalpore ed è festosa, attentamente programmata: Gesù entra a Gerusalemme su un’asina, collocandosi così nella tradizione della promessa profetica che il profeta Zaccaria ha indirizzato a Sion, altro nome con cui è chiamata Gerusalemme. Esorta la “Figlia di Sion” a rallegrarsi perché verrà il re che, Signore mite, giungerà in città cavalcando un’asina. Conosciamo questo testo biblico e anche l’inno d’Avvento “Figlia di Sion, gioia a te; ecco, viene il tuo re”. È dunque in modo simbolico, programmato che Gesù entra a Gerusalemme. Con la sua venuta, si ricollega al compimento della promessa profetica circa il nuovo Signore che governerà il suo popolo con giustizia e mitezza. Che visione, in tempi in cui noi facciamo tutt’altre esperienze con i signori! E anche al tempo di Gesù e al tempo del Vangelo di Matteo la gente faceva tutt’altre esperienze con i signori della politica. Non erano signori giusti, miti a governare i loro paesi, ma erano conquistatori che provavano indifferenza per le tradizioni ebraiche e che imponevano le proprie idee con mano ferrea e spesso anche con la violenza.

Non desta meraviglia che le persone siano entusiaste, allegre e speranzose, vedendo Gesù come il Signore che, finalmente, porterà loro la pace. Perciò gli preparano un’accoglienza grandiosa: posano le loro vesti sul suo cammino, come un tappeto rosso; tagliano rami di alberi e li usano per far entrare Gesù in città davvero come suo Signore futuro. Quante aspettative, quante speranze ripongono in lui.

 

Ma le cose vanno in tutt’altro modo. L’ingresso festoso di Gesù non è l’inizio del suo regno di pace come Re del suo popolo. Al contrario. Le aspettative dirette verso di lui vengono amaramente deluse. La venuta di Gesù a Gerusalemme avviene all’inzio della catena di eventi che condurranno presto alla sua condanna e alla sua esecuzione. Gesù viene incoronato re in tutt’altro modo, rispetto a quello che si erano attese le persone che lo avevano accolto così festosamente: gli viene posta sul capo una corona di spine; sulle spalle, i soldati romani gli mettono un manto di porpora, lo dileggiano e lo umiliano. Il Gesù così festosamente accolto viene inchiodato in croce e su di essa viene posta quest’iscrizione: “Gesù di Nazareth, re dei giudei”, affinché non sussista dubbio che così finirà chiunque pretenda di essere re e voglia prendere il potere. È in modo così improvviso, così brutale che finisce la carriera cominciata con l’entrata a Gerusalemme. La delusione e lo scalpore non potevano essere maggiori. Perfino i suoi più stretti seguaci ne furono traumatizzati e, presi dal panico, fuggirono. Chi potrebbe disapprovarli?

E quindi il testo della predicazione è più adatto alla Quaresima che all’Avvento? Di fatto, l’episodio dell’entrata a Gerusalemme viene letto, nella versione giovannea, anche la Domenica delle Palme, domenica che precede quella di Pasqua. Ma è adatto per l’inizio dell’Avvento?

 

La venuta di Gesù nel mondo, cara Comunità, non è una grandiosa dimostrazione di potere e forza. La venuta di Gesù non ha posto fine a tutti i signori di questo mondo e ai loro mezzi, spesso violenti, usati per affermarsi. In questo periodo, tutto questo ci sta molto chiaramente davanti agli occhi. Guerre e propaganda determinano ciò che avviene nel mondo; la società di molti paesi è caratterizzata da lacerazioni. I contrasti tra modi di vedere diversi sono diventati più acuti, più inconciliabili, più disinibiti. Decoro e morale, rispetto e tolleranza spesso restano al palo. Chi punta sulla solidarietà tra esseri umani e sulla misericordia resta deluso. Così sarà andata anche per la gente di Gerusalemme, che aveva accolto così principescamente colui che era finito così brutalmente sulla croce.

 

Ma il racconto dell’entrata di Gesù a Gerusalemme non è solo il testo della Domenica delle Palme; lo è anche della I Domenica d’Avvento. In ciò si esprime un’idea profonda, d’importanza fondamentale per la nostra fede. Celebriamo l’Avvento, di nuovo ogni anno, sapendo che, nel mondo, ci sono molte cose che non vanno; sapendo che avvengono molte cose che ci inquietano profondamente. Celebriamo l’Avvento proprio perché intendiamo la venuta di Gesù nel nostro mondo, maltratatto e senza pace, come speranza e compito per impegnarci in favore della pace, della giustizia, della libertà e della dignità. Poiché confidiamo che l’esecuzione brutale di Gesù in croce non significa che la violenza ha vinto sulla disponibilità alla pace; confidiamo che gli assassini non trionferanno sulle loro vittime; confidiamo che il giusto ordine di Dio si attuerà. La via di Gesù, che lo ha condotto a Gerusalemme e sulla croce, non fu la sua fine. Ciò che s’inizia, nell’Avvento, con l’aspettativa della pace di Dio per questo mondo, non finisce sulla croce a Gerusalemme, ma alla tomba vuota, con le apparizioni del Risorto e col messaggio “Gesù non è qui; Dio lo ha ridestato.” Dio si è dimostrato più forte della morte; ha posto Gesù nella signoria celeste. Così egli è re in modo affatto differente da quello che si era aspettata la gente di Gerusalemme; differente anche da come anche noi, spesso, ci immaginiamo la soluzione ai problemi del mondo. Questo infonde speranza, coraggio e fiducia per vedere le condizioni del mondo, spesso lamentevoli, sotto l’insegna dell’ordine salvifico di Dio; ordine che egli ha in serbo per noi e verso il quale siamo diretti.

Le speranze deluse, dunque, non sono semplicemente frustrazioni per cose che non si sono avverate secondo i nostri desideri. Le speranze deluse possono, invece, condurci a una considerazione realistica del mondo, cui possiamo dar forma a partire dalla certezza della nostra fede. Dio cammina per vie inattese; apre possibilità cui noi non avremmo mai pensato; ci mostra prospettive in situazioni che supponiamo senza vie d’uscita. In mezzo a un mondo lacerato, risuona così il messaggio di pace di Dio in terra. Questo messaggio, pertanto, non viene da un rombare potente, capace di scuotere tutto il mondo. Risuona, invece, come suono flebile, che non attira l’attenzione, che spiega il suo effetto in coloro che confidano in Dio e nella pace che ha promesso al mondo.

 

Il messaggio che ci viene dato di nuovo, ogni anno, all’Avvento, e che noi dobbiamo dare al mondo, dice pertanto: l’attenzione amorevole di Dio per noi esseri umani, che reca in sé così tanta speranza, consolazione e fiducia, non è più concreta, visibile, tangibile in nessun altro luogo come nella nascita di Gesù. È quasi al punto di rottura la tensione del contrasto tra l’annuncio della nascita del re della casa di Giacobbe e la via della croce, che s’inizia con l’entrata di Gesù a Gerusalemme. Tale tensione ingloba la nostra vita, con tutto ciò che le appartiene, con le cose belle e quelle tristi, con le attese gioiose e le delusioni.

 

Il messaggio dell’Avvento non dice che viene uno che sconfiggerà i nemici col potere e la forza e che getterà giù dal trono i potenti. Il messaggio dell’Avvento è una rivoluzione di genere completamente differente. È, a modo proprio, de-ludente. Ci libera dalle aspettative sbagliate nei potenti di questo mondo e contrappone ad esse l’amore di Dio, che è fattivamene attivo in questo mondo e che può cambiarlo in modo permanente. Il messaggio dell’Avvento ci porta la pace, perché confidiamo che mitezza e misericordia possano cambiare il mondo. Questa pace non è ottenuta con la forza militare o con l’egemonia economica. Questa pace viene in modo affatto diverso: con gentilezza, indulgenza, misericordia e riguardo.

 

L’episodio dell’entrata a Gerusalemme è la storia di una de-lusione; è una storia che ci mostra che può essere bene che le nostre aspettative non siano appagate e che le nostre idee vengono incrociate dalle vie di Dio per questo mondo.

 

Nei racconti della nascita di Gesù e della sua attività, questo è chiaro. Nasce un Bambinello, in una provincia remota dell’Impero Romano. Proprio a lui è associata una grande promessa: egli porterà la salvezza di Dio agli esseri umani, li salverà e darà loro nuovo coraggio. Egli è qui per coloro che sono tormentati da malattie e paure; dedica la sua vita a coloro che sono soli e oppressi. E le persone hanno percepito questo: così la nostra vita si rinnova; il mondo riceve un volto gentile. Egli è il Principe della Pace di cui hanno parlato i profeti. Egli ci reca nuova speranza e fiducia.

 

Dio non viene in un mondo perfetto, ma in un mondo pieno di tensioni. Non era diverso allora, in Israele, ai tempi del profeta Zaccaria e della sua grande promessa alla Figlia di Sion. Non era diverso neanche al tempo della nascita di Gesù. Proprio per questo, il messaggio dell’Avvento di un Signore giusto e mite, inviato da Dio stesso, è tanto importante, oggi come allora. Esso ci indica il cammino per superare inimicizia e aggressione, paura e mancanza di coraggio. Ci mostra che non siamo prigionieri di ciò che, del mondo, ci preoccupa. Dio stesso viene da noi, in forma di Bambino, piccolo e vulnerabile, uomo per noi esseri umani. Condivide la nostra vita fin nel dolore e nella morte; non ci lascia soli con la nostra paura.

 

Nell’episodio dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, il messaggio dell’Avvento è espresso in modo del tutto peculiare e molto profondo. Questo racconto, che in effetti si trova all’inizio degli eventi della Passione, e non all’inizio dei racconti sulla nascita di Gesù, è proprio per questo una storia di speranza. Ci mostra che il Salvatore annunciato cambierà questo mondo in modo affatto diverso da quello che noi ci aspettiamo e da quello che si aspettava anche la gente dei suoi tempi.  “Ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso”, recita il versetto settimanale, tratto dal libro del profeta Zaccaria. Dio viene da noi come Signore giusto e mite, che rinnova la nostra vita. In questo possiamo confidare; da questo possiamo attingere speranza; a questo possiamo orientarci, ogni anno nuovamente. Il tempo dell’Avvento e il tempo di Natale sono il tempo della conferma che Dio vuole la salvezza del mondo e di noi esseri umani. In questa fiducia, possiamo andare verso le settimane venture.

Amen.

I Avvento – Prof. Dr. Schroeter